“We Nick! Che fai i prossimi giorni? Io ho quattro giorni liberi... sai che significa? Dobbiamo per forza organizzare qualcosa di interessante, qualche giro di quelli che piace a noi…”

È partita così.

Dopo aver preso in considerazione diverse mete, tra cui il Furkapass e i Satelliti del Monte Bianco, alla fine, il meteo poco stabile ci ha portati a riconsiderare quell'idea che ogni volta si rivela essere vincente!

La Valle.

L'unica e inimitabile Val Masino, la nostra valle del cuore, il luogo in cui io e Nick e altri nostri cari amici abbiamo sognato e realizzato le nostre prime vie “serie” in ambiente, in completa autonomia, esplorando e imparando passo dopo passo a scovare la rotta migliore in quell'immenso mare di granito.

Era il 2020 quando, inesperti e con gli occhi pieni di meraviglia, io, Nick e Gughi, salpammo alla volta del grandioso Spigolo Vinci. Fu un'avventura grandiosa per noi tre piccini in quell'immensità. Non sto a dirvi che fu amore a prima vista.

Dopo quattro anni a vagare per la Valle, eccoci di nuovo qui. Sta volta, optiamo per qualche salita meno mainstream o forse proprio dimenticata oserei dire. È Andrea, mio grandissimo amico e appassionato conoscitore di questi luoghi, a darci qualche idea interessante. Mi racconta che qualche anno fa ha ripetuto lo Spigolo SSO (sud/sud ovest) Negri-Bonacossa al Pizzo Torrone occidentale, mi mostra qualche scatto ed è subito amore a prima vista. Subito penso: “Come fa una linea così grandiosa, in un ambiente così selvaggio, ad essere stata dimenticata?” A tratti lo spigolo affilato ricorda il famoso Spigolo Vinci... è proprio bello.

Già carichi a palla, raccogliamo, davanti a una bella birra, qualche info dal buon caro Andre, che con i suoi racconti ci fa brillare ancor di più gli occhi, scattiamo qualche foto alle pagine in bianco e nero di una vecchia guida e cerchiamo di raccogliere più informazioni possibili.

La serata è ancora lunga, una festa al Kundaluna ci intrattiene fino tarda notte e riusciamo a buttarci in branda solamente verso le 3:30 del mattino. Poco male. L'indomani ad attenderci c’è “solamente” la salita al Bivacco Manzi, la sveglia è quindi clemente e belli riposati, nonostante qualche birra di troppo della sera prima, ci dirigiamo verso la nostra prima tappa: il Bar Monica, dove lavorai qualche estate fa, per una bella colazione e la giusta carica.

Pronti.

Ci addentriamo con una bella camminata in Val di Mello, sono ormai le 11.30 circa, il sole è caldissimo e la vista delle limpide acque del “Bidet della Contessa” ci obbliga ad un tuffo rigenerante, ci voleva proprio. Belli freschi ripartiamo spediti verso il fondo valle e finalmente ecco l'attesa scritta “VAL TORRONE” su un masso a lato del sentiero. Ora sì che si sale, testa bassa e pedalare!

Gli zaini, tutt'altro che leggeri e il caldo di mezzogiorno si fanno sentire o forse erano i 2300 D+ dei giorni precedenti in effetti! Rimaniamo determinati e focalizzato sull’obbiettivo e Nick, con un pizzico di follia decide di caricarsi in spalla un po’ di legna per fare il fuoco al bivacco, folle! Lo ringrazieremo più tardi.

Una volta usciti dal bosco lo spettacolo davanti ai nostri occhi è talmente mozzafiato che in un attimo capisci che tutta la fatica fatta ne vale davvero la pena. Un anfiteatro di pareti pazzesche ci accoglie in Val Torrone. Ogni volta è come se fosse la prima e mi commuovo di così tanta bellezza.

Cavalli selvaggi e qualche asinello ci accompagnano per un tratto di sentiero facendoci sentire in totale armonia con la natura circostante.

Ecco il bivacco! Con lo sguardo scorgo un puntino rosso tra le rocce... sembra lì, ma la strada è ancora lunga. Stringo i denti e incito le mie gambette a tener botta e passo dopo passo la distanza da percorrere diventa sempre meno.

Giungiamo, belli cotti, al fiumiciattolo appena sotto al Bivacco e decidiamo di fare qui rifornimento di acqua, di rilassarci e di rinfrescarci un po’. Senza pensarci troppo ci spogliamo e ci lanciamo nelle acque gelide del ruscello, i piedi, appesantiti dalle ore di cammino, rinascono e la stanchezza si allevia.

Che botta di vita!

La mente si rilassa, il sole caldo e la leggera brezza asciugano la mia pelle, il cuore diventa leggero e immensamente grato di questa pace interiore. Ogni dubbio, ogni preoccupazione si placa. La val Torrone ci coccola sui suoi caldi massi e con il solo suono dello scorrere dell'acqua in sottofondo.

Questa preziosa quiete diventa in un attimo la risposta a tutte le domande.

Il calare del sole e il conseguente abbassarsi della temperatura ci convincono a risalire gli ultimi metri di dislivello per arrivare al Bivacco, a quota 2538 metri, in una posizione invidiabile. Appena arrivati, posiamo gli zaini e cominciamo a curiosare e a sfogliare il quadernetto, pieno di dediche e storie di chi è stato qui prima di noi. Lasciamo anche noi la nostra testimonianza e poi decidiamo di preparare già il materiale e gli zaini per il giorno successivo, “così non ci pensiamo più” dice Nick. Sono d'accordo.

La cresta che dovremmo percorrere è lunga 1000 metri e ha passaggi di V grado, completamente da attrezzare, la discesa, invece, sarà dalla cresta opposta e sappiamo che se tutto procede in modo corretto, dovremo fare tre calate da 20/30 metri per arrivare di nuovo a terra. Quindi, decidiamo di portare con noi una corda da 60 metri, una serie di friend, 1 seria di nuts, un cavanut, martello e qualche chiodo, 5 rinvii e un po' di cordini e fettucce. Aggiungiamo un litro e mezzo di acqua a testa, un salamino, un tocco di formaggio e un po' di frutta secca… stavolta niente barrette per noi, non siamo atleti, ma semplici esploratori! Zaino pronto!

È tempo di mettersi ai fornelli, ceniamo con cuscus con tonno, lenticchie e piselli e poi concludiamo con una bella tisana calda e una deliziosa bisciola, che goduria!

Il cielo è limpido e le stelle sono luminose, l’aria è frizzante e mi congela il naso, ma “sto da Dio”. Nick accende il fuoco e ci rilassiamo ascoltando il crepitio della legna che arde e facendoci scaldare dal tepore del falò. Mi godo questo magico momento ancora per un po' e poi mi butto a letto, pronta per una bella dormita rigenerante.

Ore 6:15.

Suona la sveglia. Colazione. Ore 6.45 lasciamo il bivacco. L’inizio di una delle giornate più incredibili della ma vita, ma questo, ancora non lo sapevo.

Scendiamo in direzione Picco Luigi Amedeo, aggirandolo risaliamo quindi al Passo del Torrone (2518 m), poi, passando per morene, puntiamo al piccolo nevaio in ombra alla base dell’anfiteatro roccioso.

L’attraversamento del nevaio risulta più ostico del previsto. La neve, infatti, è ancora molto dura, risaliamo abbastanza agevoli la prima parte più appoggiata, poi l’aumento della pendenza ci costringe a scavarci, con dei sassi trovati qua e là sulla neve le pedonate per i piedi. La progressione rallenta drasticamente e le mani bagnate iniziano a raffreddarsi fino quasi a non sentirle più. Ma eccoci, con pazienza, finalmente all’attacco della via.

La linea originale segue il canaletto “Lurani”, all’angolo di incidenza tra la bastionata di placche e la cresta SSO, ma la voglia di avventura è troppo forte. Così, Nick ed io, decidiamo di buttarci nel pieno della parete seguendone i puti più deboli, facendo soste su spuntoni, apriamo tre lunghezze abbastanza impegnative (6a?) di circa 40 metri l’una e sbuchiamo finalmente in cresta dove il sole che fa capolino è pronto a scaldarci le ossa e le mani infreddolite.

Lo spettacolo che ci si presenta davanti è impagabile. Uno spigolo esteticamente perfetto, molto affilato, una roccia incredibilmente tagliente e compatta. Da qui procediamo in conserva lunga, con ausilio di protezioni veloci, sfruttando qualche spuntone roccioso qua e là e una meravigliosa clessidra (evento assai raro sul granito).

Le difficoltà non sono mai eccessive ma l’esposizione è totale, ci si ritrova sul filo di un rasoio che fa da spartiacque tra la Val di Zocca, a sinistra, e la Val Torrone, a destra. Procediamo spediti, alternando la conserva a qualche tiro di corda nei tratti più verticali e impegnativi.

Ci fermiamo per una breve sosta solo alle 13, da lì scorgiamo finalmente la cima del Torrone Occidentale. Da qui, in circa un’ora, è cumbre!!!

Un ometto di pietre ci conferma che siamo finalmente in vetta. Siamo davvero felici, il panorama è pazzesco ma la soglia di attenzione e l’adrenalina rimangono alte perché “il peggio” deve ancora arrivare.

Guardando titubanti verso est cerchiamo di trovare la strada giusta per portarci verso la Punta Alessandra, nostro punto di riferimento per individuare l’inizio delle calate. La traversata si rivela tutt’altro che banale.

Si alternano tratti in cresta, traversi esposti su placconate, brevi ed ostiche disarrampicate e una calata di 20 m circa. Arriviamo poi sul terreno più fragile e dissestato, con molte pietre pericolanti. Ci guardiamo un po' intorno per cercare la linea di discesa migliore, più rapida ma soprattutto più sicura.

Sappiamo che Andrea e il suo socio qualche anno prima avevano abbandonato dei cordini per le calate, aguzziamo la vista per scovarli, e finalmente: “eccone uno Nick!” grido io. Siamo sollevati, la direzione è quella giusta! Può sembrare esagerato ma trovare una traccia di un passaggio umano lassù, in quell’ambiente così severo, ti dà conforto.

Mi calo io. La corda stava quasi per finire, ma ecco, qualche metro più a destra, viso a monte, scorgo l’altro cordino. Per fortuna il terreno lì è più facile e, traversando su una piccola cengia, raggiungo la calata successiva. Ora tocca a Nick. Si cala ma non c’è più traccia di altre soste, quindi, scegliamo con cura un altro spuntone e abbandoniamo un nostro cordino per l’ultima calata.

Piedi a terra. O meglio, sul nevaio sottostante.

Mettiamo via le corde e proseguiamo la discesa, prima scivolando sul nevaio e poi camminando per ripide placconate lisce e solcate da molti rigagnoli d’acqua. Raggiungiamo poi il sentiero dell’andata. Terreno sicuro e conosciuto. Ci concediamo quindi una pausa, beviamo e mangiamo quello che rimane dopo la via e ci prepariamo psicologicamente all’infinito rientro attraverso la Val Torrone.

I rientri alla civiltà son sempre pieni di emozioni contrastanti.

Da una parte avrei voluto essere teletrasportata in paese, togliere quelle cavolo di scarpe e bermi una birra. Dall'altra, la maledetta nostalgia. Nostalgia di solitudine, di bellezza, di silenzio. Nostalgia di avventure. Nostalgia ci cime selvagge. Nostalgia di vita vera.

L'avvicinarsi del paese mi riporta alla realtà. Ai convenevoli. Alle relazioni della società. Alle responsabilità. Ai pensieri che fino poco fa non esistevano. Piano piano si reimpossessano di me e della mia mente. Tornano i bisogni, dei quali, per giorni, non ho avuto bisogno...e allora mi chiedo: ne ho davvero bisogno?

Chissà.

Guardo il mondo quaggiù con occhi e spirito diversi, sapendo che, lassù, c’è un bel mondo inutile che, senza darmi niente riesce a darmi tutto ciò di cui ho bisogno.

Ore 21.00. Tolgo le scarpe e mi bevo una birra. Sono la ragazza più felice di questo mondo.

Grazie montagna. Grazie Andre per l’ispirazione. Grazie a Bonacossa e Negri. Grazie Nick, fedele compagno di ravanate doc.

Alla prossima

Elena

IG: @ele.rigamonti

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